Addio Lugano

Addio Lugano bella è una canzone anarchica scritta da Pietro Gori nel 1895. Piero Gori, avvocato e militante anarchico italiano, era stato accusato di essere l’ispiratore dell’assassinio del Presidente francese Sadi Carnot, ucciso da Sante Caserio il 24 giugno 1894. Si era rifugiato a Lugano nel Ticino. Ma le autorità elvetiche subivano forti pressioni per negare l’ospitalità agli anarchici italiani e nel gennaio del 1895, il Consiglio federale firmò un ordine di espulsione. Piero Gori venne arrestato, insieme ad altri anarchici. Nella settimana trascorsa in carcere, scrisse Il canto degli anarchici espulsi, che diventerà Addio Lugano bella sull’aria di un canto popolare toscano. 
Secondo la leggenda fu cantata la prima volta alla stazione il giorno in cui fu espulso.
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Addio morettin ti lascio

« Addio morettin ti lascio » è un canto di risaia lombardo che risale ai primi decenni del Novecento.  La monda effettuata dalle mondine che lavoravano nelle risaie dalla fine del mese di aprile all’inizio di maggio, si svolgeva in 2 fasi : trapiantare il riso e togliere le erbacce. Era un lavoro molto stancante eseguito da donne che stavano tutto il giorno curve,  con l’acqua fino alle ginocchia, sotto il sole e in mezzo alle zanzare. Il duro lavoro delle mondariso era scandito da canti di lotta per darsi forza.
Questa canzone descrive la realtà amorosa libera dei quaranta giorni della monda. La mondina si è divertita con un amante per sopportare il lavoro estenuante ed ora lo lascia libero e torna a casa.
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Astro del ciel

Stille Nacht (Notte silenziosa), versione originale di Astro del ciel fu scritta nel 1816 dal prete Joseph Mohr. La musica è dell’organista Franz Gruber. Conquistò i paesi di lingua tedesca poi il resto del mondo – tanto da essere tradotta in più di 300 lingue tra cui l’italiano.
L’autore del testo italiano è don Meli (1901-1970), sacerdote di Bergamo, musicista, e scrittore.
Di fronte alla grande popolarità di Stille Nacht e alla difficoltà degli italiani di cantarla in tedesco o in inglese, l’editore bergamasco Vincenzo Carrara propose a don Meli di scrivere il testo in italiano. Il sacerdote non fece la traduzione esatta del canto, ma scrisse un testo completamente diverso sulla stessa base musicale. Lo intitolò Astro del ciel e lo dettò al telefono a Carrara (il che spiega forse la storpiatura della parola genti in menti di cui si lamentava). Pubblicata nel 1937, la canzone diventò presto popolarissima.
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La bella gigogin

È una canzone patriottica del Risorgimento celebre in tutto il Nord Italia, molto popolare ancora oggi.
Il contenuto del testo, fortemente anti-austriaco, è un miscuglio di strofe popolari adattate alla musica dal maestro Paolo Giorza nel 1858, su un ritmo di polka.
Le allusioni politiche erano ben chiare all’epoca.
La Gigogin è il diminutivo piemontese di Teresina, usato dai carbonari per indicare l’Italia.
« Daghela avanti un passo » era un invito all’insurrezione per cacciare gli austriaci.
« La dis che l’è malada » si riferiva alla Lombardia stessa, stanca della gialla bandiera austriaca.
« Bisogna aver pazienza, lassàla marida » significava che occorreva pazientar fin quando la Lombardia non si fosse « sposata » con il Piemonte, ossia attendere il consolidamento dell’alleanza tra Vittorio Emanuele II e Napoleone III.
La prima parte del testo è probabilmente successiva all’unificazione dell’Italia : l’esortazione alle armi era troppo esplicita perché potesse venir tollerata dalla censura austriaca.
Gli austriaci, ad ogni modo, finsero di non capire le allusioni del testo, tanto che la musica venne adottata dalle loro bande militari. È famoso l’episodio della battaglia di Magenta (4 giugno 1859) quando l’esercito franco piemontese garibaldino da una parte e quello austriaco dall’altra diedero entrambi il segnale dell’attacco proprio con le note della Bella Gigogin !
Chi fu in realtà questa Bella Gigogin ? Gli aneddoti riguardanti la « vera » bella Gigogin ci dicono che fosse bella, giovane e senza troppi scrupoli morali. Ma l’alone di mistero che la circondò fece cantare intere generazioni di milanesi.
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Garibaldi fu ferito

« Garibaldi fu ferito » è una canzoncina popolare nata da un evento storico : il ferimento di Giuseppe Garibaldi il 29 agosto 1962 nella battaglia dell’Aspromonte, in Calabria, durante la guerra del Risorgimento. Le truppe di Vittorio Emanuele II respingevano l’avanzata delle Camicie rosse verso Roma. Durante la battaglia, il bersagliere Luigi Ferrari ricevette l’ordine di sparare a Garibaldi, ma lui mirò alle gambe e lo ferì all’anca e al malleolo destro. Garibaldi venne arrestato senza opporre resistenza.
È ancora oggi una famosa filastrocca per fare imparare ai bambini le vocali che diventano una prima volta tutte « a » (Garabalda fa farata…), poi « e » (Gherebelde fe ferete …), e così via fino alla « u ».
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Italia bella mostrati gentile

Canto toscano dal tono polemico e ironico, composto alla fine dell’800, nel periodo di forte emigrazione degli italiani verso il Brasile  dove il declino progressivo della schiavitù incoraggiava l’immigrazione europea. Lo stato di Sao Paolo ingaggiava questi emigrati per lavorare nelle fazendas, le piantagioni di caffè, dove lavoravano come schiavi. La mentalità schiavista di molti proprietari terrieri portarono il governo italiano a proibire l’emigrazione in Brasile con il Decreto Prinetti del 1902.
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Partire partirò

Canzone scritta dal cantastorie toscano Anton Francesco Menchi nei primi anni dell’800. È un malinconico lamento del coscritto italiano contro la leva obbligatoria imposta in Italia da Napoleone nel 1802 per gli uomini di età compresa dai 20 ai 25 anni. La melodia risale ad una composizione popolare più antica, quella del canto Maremma amara, canto di trasumanza e migrazione dei pastori.
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Il ponte di legno di Bassano

Bassano del Grappa è una città situata a 35 chilometri da Vicenza. Celebre per la produzione della grappa, ma soprattutto per il vecchio ponte coperto, principale via di comunicazione tra Bassano e Vicenza. 
La prima costruzione del ponte di Bassano risale al 1209. La struttura originale fu però distrutta da una piena del fiume Brenta. Fu Andrea Palladio che, nel 1569, progettò il nuovo ponte di legno, materiale scelto per la sua elasticità, in grado di contrastare l’impetuosità del fiume. Una seconda piena del Brenta lo distrusse nel 1748 e venne ricostruito solo 3 anni dopo da Bartolomeo Ferracina. 
Il ponte fu nuovamente distrutto dai tedeschi nel corso della seconda guerra mondiale e fu ricostruito dagli Alpini nel 1947. Per questo il ponte di Bassano è anche detto il ponte degli Alpini.
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La recette de la pappa al pomodoro

Viva la pappa col pomodoro è una canzone resa celebre dallo sceneggiato televisivo di « Gian Burrasca », trasmesso dalla Rai nel 1964, realizzato da Lina Wertmüller.  Era cantata da Rita Pavone che interpretava il ruolo principale. La musica era di Nino Rota, orchestrata  da Luis Enriquez Bacalov.
Lo sceneggiato era tratto dal celebre romanzo “Il giornalino di Gian Burrasca”, scritto da Vamba (pseudonimo di Luigi Bertelli) nel 1907 e pubblicato nel 1920, diventato un classico della letteratura per ragazzi. 
L’azione si svolge a Firenze all’inizio del ‘900 e racconta le marachelle di 
Gian Burrasca che i genitori decidono di mandare in collegio. Tuttavia il 
bambino ribelle contina a farne di tutti i colori. Spinge alla ribellione i suoi 
compagni e va fino a scrivere sui muri « abbasso i tiranni ». Riesce ad ottenere che l’immangiabile minestra di riso quotidiana venga sostituita dalla « pappa al pomodoro », piatto toscano dei contadini.

Ricetta della pappa al pomodoro

Per 8 persone :
500 gr. di pane raffermo 
800 gr. di pomodori 
2 spicchi d’aglio 
Basilico 
1,5 litri di brodo 
Olio d’oliva 
Pepe e sale

Mettere l’olio d’oliva in una pentola e far dorare l’aglio tritato a cui si 
aggiungono i pelati tagliati a pezzetti ed il basilico. Aggiungere il sale ed il 
pepe e fare cuocere per un quarto d’ora. Quindi aggiungere il brodo ed il 
pane tagliato a fette e lasciare ancora sul gas per 10 minuti. Poi lasciare 
riposare per un’ora circa. Servire con un po’ d’olio d’oliva e eventualmente 
un po’ di parmigiano.
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Reginella campagnola

Reginella Campagnola è la canzone più rappresentativa dei temi trattati negli anni Trenta e cioè la campagna e la guerra, inneggiati dal Ministero della cultura popolare del regime fascista per esaltare il mondo agricolo in contrapposizione con la città, fonte di corruzione morale. 
Questa apologia della campagna fu scritta su un fox composto nel 1938 da Bruno e Eldo Di Lazzaro. Venne suonata per la prima volta in una sala da ballo di Porta Venezia a Milano, con il titolo di Fior della Maiella (massiccio montuoso dell’Abruzzo) poi divenne un classico dei balli popolari, interpretato principalmente con la fisarmonica.          Riscosse un enorme successo negli Stati Uniti, con un nuovo testo scritto da Harold Adamson. La protagonista non era più una contadina abruzzese, ma un picchio che beccava, a suon di ritmo, il tronco di un albero. Glen Miller la incise nel 1940, con il titolo Woodpecker song, venne poi cantata anche dagli Andrews Sisters con un altro arrangiamento. 
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La ronde de “Madama Doré”

La vecchia filastrocca Madama Doré è ripresa da Ottorino Respighi nel suo poema sinfonico « I Pini di Roma », composto nel 1924. È diviso in quattro parti che evocano la città di Roma e dintorni. La prima parte 
« I pini della Villa Borghese » include filastrocche e giochi infantili nei giardini della Villa Borghese e, in particolare, « Madama Dorè ». 

La Filastrocca « Madama Doré » 
Un gruppetto di bambini si tiene per mano e fa una specie di 
girotondo, mentre un bambino fuori dal cerchio gira in senso opposto. 
Il gruppetto ed il bambino pronunciano le repliche della filastrocca :  

Oh quante belle figlie, Madama Doré
oh quante belle figlie !
Se son belle me le tengo, Scudiero del re, 
se son belle me le tengo ! 
Il re ne domanda una, Madama Doré,
il re ne domanda una!
Che cosa ne vuol fare, Scudiero del re, 
che cosa ne vuol fare ! 
La vuole maritare, Madama Doré,
la vuole maritare !

A questo punto o il cerchio rimane chiuso ed il bambino che 
è fuori continua a  chiedere la mano di una delle figlie di Madama Doré, 
oppure il cerchio si apre ed il bambino entra per scegliere colui che lo 
seguirà all’esterno. 

Con chi la mariterebbe, Scudiero del re,
con chi la mariterebbe ! 
Col principe di Spagna, Madama Doré, 
col principe di Spagna !
E come la vestirebbe, Scudiero del re 
e come la vestirebbe! 
Di rose e di viole, Madama Doré,
di rose e di viole !
Scegliete la più bella, Scudiero del re, 
scegliete la più bella ! 
La più bella l’ho già scelta, Madama Doré,
la più bella l’ho già scelta !
Allora vi saluto, Scudiero del re, 
allora vi saluto ! 

Il gioco continua fino a quando tutti i bambini del primo cerchio non 
saranno passati nel secondo. 
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Gli scariolanti

Canto popolare anonimo nato verso la fine del 1800.

Canzone dei braccianti che hanno partecipato alla bonifica della zona costiera della Romagna e della provincia di Ferrara. Venivano ingaggiati ad ogni inizio di settimana. La domenica a mezzanotte, un corno suonava e i primi arrivati, con la propria carriola e la loro vanga, erano assunti. Una volta raggiunto il numero di scariolanti richiesto, gli altri erano respinti e dovevano aspettare la settimana successiva. 
Hanno scavato lunghi canali, costruito argini : un lavoro durissimo col rischio della malaria.Erano contadini poveri della regione, ma anche braccianti venuti dal Veneto, dalla Bassa Lombardia, dalle Marche. Perciò, il canto nacque in italiano anziché in dialetto.
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Se chanto

« Se chanto » è una canzone popolare diventata l’inno occitano. La versione da noi proposta è quella delle valli occitane del Piemonte, infatti questo canto è conosciuto in numerose versioni in tutta l’area della lingua d’oc. L’occitano (lingua d’oc) ebbe grande importanza letteraria nel Medio Evo, quando era diffuso, in particolare grazie ai trovatori, in tutta la Francia del sud, dai Pirenei alle Alpi. In Italia sopravvive tuttora come lingua parlata solo in alcune aree rurali e montane, in particolare in alcune valli piemontesi. Una serenata piena di nostalgia per la donna amata che viene attribuita a Gaston Phoebus, conte di Foix e visconte di Bearn, uomo di stato, scrittore e poeta, vissuto nel XIVs.
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La tabacchina

Canzone popolare piemontese

La sigaraia o « tabacchina » è una delle figure simbolo della Torino industriale tra l’800 e il 900.
Nella prima metà dell’800, in seguito al notevole aumento del consumo dei tabacchi furono create varie fabbriche di tabacchi. La Manifattura di Torino, creata nel 1740, registrò dopo l’Unità italiana un periodo di forte crescita, diventando la seconda manifattura più importante del paese. Nel 1875, lavoravano 2500 operai di cui 2000 donne, più abili degli uomini nella lavorazione delle foglie di tabacco.
Erano considerate privilegiate rispetto alle operaie delle altre fabbriche perché, lavorando in una manifattura di stato, avevano alcune garanzie in più, uno stipendio più alto e un asilo nido dove lasciare i bambini che andavano ad allattare nell’intervallo.
Tuttavia, il lavoro era molto duro, i ritmi estenuanti. Erano sottoposte a una ferrea disciplina di tipo militare e molto controllate perché si temevano i furti di tabacco. Hanno lottato per le loro condizioni di lavoro. Furono tra le prime a combattere per i diritti delle lavoratrici.
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Il tango delle capinere

Copertina dello spartito di
Il tango delle capinere (1928)

Canzone della Belle époque, il Tango delle capinere* fu composto nel 1928 da Cesare Andrea Bixio e le parole scritte da Cherubini. Ma fu proprio a Parigi che questo tango ebbe un successo strepitoso, segnando così una grande svolta nella carriera del suo compositore.
A pochi mesi di distanza la canzone venne tradotta ben due volte in francese e da due traduttori diversi. La prima traduzione di Robert Marino, il Tango des fauvettes(casa editrice musicale C.A. Bixio di via Filippo Corridoni, agosto 1928) mantiene lo spirito del testo italiano, sebbene trasformi l’Arizona in Texas.
La seconda traduzione di Henri Varna e De Lima (edizioni musicali Bixio, 1 Bd Hausmann (sic) ottobre 1928) cambia il titolo della canzone in  Dans les bouges de la nuit e dà alle parole uno stile apache.
Tra le due traduzioni un grande evento si produce nella vita di Bixio con l’apparizione della mitica Mistinguett, venuta a trovarlo a Milano per chiedergli di lavorare per la rivista Paris qui brille, al Casino di Parigi negli anni ‘31/’32. Questo tango rappresenterà uno dei suoi maggiori successi.

Il Tango delle capinere

Laggiù nell’Arizona, 
Terra di sogni e di chimere 
Se una chitarra suona 
Cantano mille capinere… 
Hanno la chioma bruna, 
Hanno la febbre in cor ; 
Chi va a cercar fortuna 
Vi troverà l’amor… 

A mezzanotte va 
La ronda del piacere 
E nell’oscurità 
Ognuno vuol godere… 
Son baci di passion, 
L’amor non sa tacere… 
È questa la canzon 
Di mille capinere ! 

Il bandolero stanco 
Scende la Sierra misteriosa ; 
Sul suo cavallo bianco 
Spicca la vampa di una rosa… 
Quel fior di primavera 
Vuol dire fedeltà 
E alla sua capinera 
Egli lo porterà. 

A mezzanotte va la ronda….

Le Tango des fauvettes

Au Texas, où l’aurore 
A des parfums de violette, 
Un frisson de mandore 
Fait chanter toutes les fauvettes 
Avec leurs tresses brunes 
Et leurs yeux de velours 
A qui cherche fortune 
Elles donnent l’amour 

Dès que le jour a fui 
Elles s’en vont légères 
Et, de l’ardente nuit, 
Font goûter le mystère 
Les baisers de passion 
De ces fauvettes brunes 
Sont la folle chanson 
Qui monte au clair de lune 
Le gaucho qui chemine 
Dans la Sierra mystérieuse 
Presse sur sa poitrine 
Sa tendre fauvette amoureuse 
Il a le cœur en fête 
En cette nuit d’été 
Car, tout bas, la fillette 
Lui promet sa beauté 

Dès que le jour a fui 
Elles s’en vont légères 
Et, de l’ardente nuit 
Font goûter le mystère 
Les baisers de passion 
De ces fauvettes brunes 
Sont la folle chanson 
Qui monte au clair de lune

Hélas ! Il doit quitter 
Ce doux pays de rêve 
Il emporte là-bas 
L’espoir et la fortune 
Mais son cœur restera 
Chez les fauvettes brunes 

Dans les bouges de la nuit

Malgré ma vie princière, 
J’pense aux beaux soirs de la barrière 
Où j’allais dans la rue, 
Aimée, exploitée et battue, 
Parée de tous mes diames 
Quand j’ai l’cafard j’reviens 
Offrir mon état d’âme 
Aux gars qu’ont peur de rien 

Refrain : 
Dans les bouges la nuit, 
D’Montparnasse à Grenelle, 
Le destin me conduit 
Vers des amours nouvelles. 
Près des mauvais garçons, 
Mon cœur est en délire, 
Un air d’accordéon 
Et mon être chavire 

Une java violente 
M’apporte l’étreinte troublante, 
La brutale caresse 
D’un de ces beaux gars à la r’dresse. 
Pâmée je dois me rendre 
Car toutes les fadeurs 
Qu’dans l’jour je dois entendre 
N’ont pas cette faveur 

Refrain

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Tu scendi dalle stelle

Il canto natalizio Tu scendi dalle stelle fu composto da Alfonso Maria de’ Liguori (1696-1787), nato a Napoli, vescovo, fondatore della congregazione del Santissimo Redentore, compositore, autore di opere letterarie e teologiche. Fu cantato per la prima volta nel 1754 durante una novena di Natale che sant’Alfonso predicò a Nola. Per la realizzazione della melodia si servì di un antichissimo canto pastorale popolare riadattato per l’occasione. È uno dei più famosi canti natalizi italiani, nonché uno dei brani maggiormente proposti per la liturgia del tempo di Natale.
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L’uva fogarina

L’uva fogarina è un vitigno scomparso che oggi si cerca di coltivare di nuovo. Era molto diffusa all’inizio del Novecento in Emilia-Romagna, nella zona tra Reggio e Mantova. Di color rosso rubino,  limpido alla perfezione, ricco di quel suo speciale profumo aromatico, tra lampone e ribes, veniva destinata al taglio di vini. 
         Mossini di Guastella scrive nel 1905 che la Fogarina sarebbe stata trasportata da un’alluvione del Po in un bosco guastallese detto Fogarin. Ma secondo Jacopo Ravà, la denominazione deriverebbe dal fatto che quest’uva sarebbe capace di dare vigore ad altre uve più scadenti. 
          La fogarina è un’uva a maturazione tardiva. La sua raccolta avveniva spesso dopo i Santi e segnava, per i braccianti agricoli, la fine della stagione. La vendemmia era allora per tutti una festa, come ci illustra la famosa canzone popolare « L’uva fogarina ».
Venne interpretata da Laura Betti nel film dei Fratelli Taviani del 1974, Allonsanfan, con la  musica di Ennio Morricone.
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